Miniere di carbone in Italia

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Miniere e centrali di carbone in Italia

Il carbone: uno dei combustibili fossili più utilizzato in assoluto. Assieme al petrolio è, allo stesso tempo, uno dei più inquinanti. Attualmente, nel mondo, una buona parte del CO2 che infesta aria e polmoni, è causato proprio dall’utilizzo spropositato del carbone. Seguendo un discorso prettamente italiano, si potrebbe dire che nel grande stivale ci sia penuria di carbone.

Difatti, non solo questo combustibile fossile inquina malamente l’aria; allo stesso tempo, avvelena i polmoni di chiunque resti abbastanza vicino da esalarne i fumi. Si  stima, infatti, che il numero di ammalati (alcuni con patologie in fase terminale) a causa dell’eccessiva respirazione di sostanze derivate dalla combustione del carbone, stia aumentando di anno in anno.

Dove si trovano le miniere di carbone in Italia?

In Italia, esiste soltanto una miniera di carbone attiva, e si trova in Sardegna: è la Sulcis Iglesiente. Secondo le più recenti stime, produce circa un milione di tonnellate all’anno di carbone, di cui soltanto poche centinaia, se non decine, finiscono nelle centrali sparse su tutta la penisola. A esclusione della nominata, quindi, non esistono altre miniere di carbone in Sardegna, né tantomeno in Italia. 

Il caso della Sulcis Iglesiente, tuttavia, è vagamente particolare. È infatti rimasta chiusa per 25 anni, fino al 1997, quando l’Italia ha deciso di investire su di essa per generare  dell’esauriente energia elettrica. Ciononostante, a causa della bassa qualità del carbone e delle esigue scorte lavorabili, l’Italia ha dunque provveduto a ottenere numerose tonnellate carbonifere da altre potenze mondiali, come, ad esempio, Australia e Stati Uniti.

 

Le centrali di carbone attive in Italia

Non ne esistono molte, tutt’altro. Le centrali che si occupano di convertire il calore generato dal carbone in energia elettrica, sono in tutto dodici. Le regioni coinvolte sono: Liguria, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Umbria, Lazio, Puglia e Sardegna. La maggior parte di esse, sono di proprietà dell’Enel, che ne possiede ben 8. Le restanti, invece, sono da spartire tra A2A (2 centrali), E.ON (1 centrale) ed Edipower (1 centrale).

Secondo gli studi più recenti condotti dal WWF, l’Italia dovrebbe limitare le risorse da affibbiare alle centrali e dare  addito allo sviluppo delle sedi dedicate alle energie rinnovabili. L’inquinamento causato dal carbone rischia seriamente di compromettere il fascino e il clima dei paesaggi italiani, costringendoli a cambiare sostanzialmente in peggio nel giro di pochi anni. 

La stima ufficiale è che, entro il 2070, le riserve di carbone si esauriranno in tutto il mondo. Quando ciò accadrà, inevitabilmente l’uomo dovrà affrontare le dirette conseguenze del suo agire controproducente per natura e adottare le dovute soluzioni agendo tempestivamente, investendo tempo e ulteriore denaro nelle fonti rinnovabili. 

L’alternativa sarebbe fermarsi in tempo e cominciare a produrre energia elettrica secondo un canone ecosostenibile. 

 

Conclusioni 

Per concludere, l’erogazione di WATT dovrebbe provenire, secondo scienziati e naturalisti, da un sistema energetico rinnovabile, così tutelando l’ambiente e prevedendo, allo stesso tempo, che l’aria diventi irrespirabile. Benché le energie rinnovabili stiano acquistando maggior consenso e, obiettivamente, raggiungendo nazioni che in precedenza non avevano preso in carico la possibilità di cambiare i metodi di conversione in energia elettrica, il percorso che definirebbe in maniera assoluta la loro utilità, è ancora lungo e tortuoso. 

Basti vedere l’Italia. Un paese che, pur avendo in sé custodito un patrimonio invidiabile, continua ad affidarsi alle centrali di carbone. La miniera da cui questo materiale è legittimamente estraibile, è una e una sola. 

Siccome al peggio sembra non esserci mai fine, lo stato italiano pareva aver accettato la proposta di costruzione di una nuova centrale. Fortunatamente, il caso sembra essere stato archiviato e dello stabile non si ha ancora nessuna notizia effettiva.